martedì 8 gennaio 2008

Evviva la sincerità.

C'è chi ha tempo, voglia, chi lo fa per mestiere e si legge anche i necrologi; qualcuno perfino l'oroscopo. C'è chi invece deve limitarsi alle notizie essenziali. Ma capita che, nascoste nell'articolo apparentemente banale, ci siano quelle scoperte di cui uno farebbe, onestamente, volentieri a meno.
Sul blog dell'amico, anzi: del compagno Luigi leggo un posticino che mi titilla la curiosità (caratteristica che, da che mondo è mondo, è femmina solo di nome).
Ricordo, in effetti, una intervista radiofonica a Minoli che si trovava in Kenia nei giorni in cui scoppiarono i tumulti e le violenze. Non feci molto caso alla sua voce, distaccata ed atona, tipica di questo giornalista, ma pure ne colsi la distanza fra la descrizione che faceva degli eventi, e gli stessi accadimenti cruenti e terribili così come riportati dai media.
Messo così, dunque, quel titolo sul Corriere faceva presagire un articolo alla Lina Sotis; ed allora, cosa vuoi che mi importi di sapere come se la spassano i ricconi di sinistra nei paradisi del mondo?
Eppure ... eppure quel pezzo andava letto. Non foss'altro che per quelle due righe. Perchè un passaggio così illuminante non si trova nemmeno nelle cronache dei più sommi cronisti della storia dell'umanità, da Tito Livio a Indro Montanelli.
La sintesi, seconda solo a un geroglifico egizio, estrema nel suo devastante cinismo, nella sua accecante chiarezza come nemmeno I Soldati di Ungaretti, mi ha lasciato ... perplesso.
Ed ho pensato al Natale, quando le nostre caselle di posta si gonfiano cinicamente di volti di bimbi che ci guardano aggrappati ai seni vuoti delle loro madri, ci raggiungono i loro sguardi vuoti mentre imbracciano un fucile più alto di loro.
Immagini di un mondo che ha bisogno di aiuto. Che lo chiede ai ricchi del primo mondo, all'opulenta società che non sa di avere di più. Un mondo che chiede solidarietà e che sovente arriva da chi, magari, più che dare, avrebbe bisogno di ricevere.
La iconografia di questo nostro Paese contadino mostra immagini in bianco e nero di case delle famiglie numerose di una volta, che magari avevano pochi letti e tavoli piccoli, ma le sedie non mancavano mai e se c'era qualcuno, ci si stringeva un po'.
Il pane si divide. Ma un'aragosta ... onestamente, come si fa a compartire un'aragosta ...
«Francamente....ce ne siamo fregati. Eravamo io con mia moglie, Chicco Testa e famiglia, Giovanni Minoli e la moglie Matilde Bernabei, Pietro Calabrese e pochi altri. Cena a casa mia sulla spiaggia a lume di candela»
Definitivamente, Clark Gable aveva un altro stile.

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