Eh! Caro Terry, non ti nascondo che l’altra sera, venerdì 11 ottobre, avrei voluto salutarti di persona e, con quel pizzico di narcisismo che tutti, più o meno, abbiamo, avrei voluto farlo pubblicamente. Nella cornice del bel teatro Nicolò Van Westerhout, per ringraziare il tuo carissimo amico Vitangelo che mi ha permesso di conoscerti; Vitangelo, col quale, una mattina di tanti anni fa, parlando del più e del meno in una stanza dell’Istituto Agronomico Mediterraneo a Bari, si arrivò a parlare di Mola, dei sui difetti, dei suoi pregi, delle sue tradizioni, del dialetto. E, dunque, di te. Da lì a pensare di attivarsi per il conferimento della cittadinanza onoraria a Terry Mildare, fu un tutt’uno. E con gli amici dell’Associazione dei Molesi nel Mondo iniziammo quel percorso che, con l’aiuto di tanti, ha portato oggi a riannodare quei fili che anni fa restarono, chissà mai perché, sciolti. Sarebbe stato emozionante per me quel palco; per ringraziare Vitangelo, per ringraziare l’amministrazione comunale tutta; e soprattutto per ringraziare te. Ma non tanto, o non solo, per essere lì a ricevere quel riconoscimento, quella pergamena, la cittadinanza onoraria. Il mio ringraziamento voleva essere un ringraziamento per tutto ciò che avevi fatto per la comunità molese, per i tuoi lunghi studi. Con Vitangelo ne parlammo tante volte; cos’è il dialetto per una comunità se non la sua propria essenza? E, dunque, come non poter essere riconoscenti verso una persona che la ha conosciuta, se ne è incuriosito, se ne è affezionato, l’ha fatta propria, la ha amata? Quell’essenza, quel dialetto curato e studiato al punto da trattarlo come una lingua? Il dialetto, importante per una comunità; ancor più per una comunità come quella molese che come poche altre ha conosciuto il fenomeno sociale, tante volte la piaga sociale della emigrazione. L’emigrazione che ha portato via a tutti qualcuno: a chi un figlio, a chi un marito, a chi un padre, un fratello, uno zio … gli amici … L’emigrazione, che quando costoro tornavano in Italia magari tornavano con uno spagnolo o un inglese improbabile, con l’italiano contaminato, ma con il dialetto sempre perfetto. Caro Terry, tu hai valorizzato quel dialetto, quella lingua che in tanti, i tanti
Molesi nel Mondo hanno parlato a Buenos Aires, a Caracas, a New York e che consentiva, a chi l’ascoltava di girarsi e dire: “Sei anche tu molese: a chi appartieni?”, mentre la gente del posto pensava: “Chi sono questi, da dove vengono?”. In quei momenti, a Mola, come in tutte le comunità pugliesi ed italiane, quando si cercavano le prime notizie dei propri affetti oramai lontani, si sperava che tutto andasse per il verso giusto, e ci si rallegrava quando si veniva a sapere che le comunità locali, la gente del posto, riservava una buona accoglienza verso i propri cari, e ci si rattristava quando invece l’accoglienza era di diffidenza o emarginazione o rifiuto. Oggi dall’Italia, da Mola non si parte più. In Italia, a Mola si arriva a cercare “l’opportunità”. Oggi sono dunque i molesi che ascoltano un suono diverso, un dialetto diverso, una lingua diversa. La lingua dei
Molesi del Mondo. Ma i dialetti, gli idiomi, le lingue si incrociano, nel Mondo; studiarli significa accorciare le distanze e, forse, allontanare le diffidenze. Anche per questo avrei voluto dirti, l’altra sera sul palco: grazie, Terry.