domenica 29 marzo 2009

Trotta, trotta cavallino ...

Non ricordo nemmeno più da quanti anni non perdevo il semaforo verde (apparizione virtuale, visto che son solo quelli rossi che si spengono) che da il via alla stagione di Formula 1.
Le qualificazioni del sabato? Nemmeno sapevo quale fosse la griglia.
Mi sintonizzo su Rai Uno sulle parole dell'afflitto Mazzoni "quando siamo giunti esattamente a metà gara".
Forse di "legale" in pista c'era solo l'orario, di certo c'è che quello della Formula 1 è realmente diventato un vero "circo". Purtroppo, però, non più di quelli sfavillanti, con tre piste ed artisti di primo livello, ma uno di quelli di periferia: quelli con i leoni dalla criniera spellacchiata, la donna cannone che sembra una paziente presa dai lettini delle rubriche di Federico Onder mentre parla dell'obesità, ed i tanti nani goffi, le ballerine sgraziate, e soprattutto i clown tristi.
Nella mediocrità dello spettacolo la degna cornice è stata l'arrivo dietro la safety-car, specchio evidente di una Formula 1 cui forse farebbe bene un anno sabbatico. E forse anche la Rai potrebbe trovare un commentatore migliore di Mazzoni, uno che vedendo Vettel andare in giro per la pista con una ruota appesa, non ha di meglio da fare che scomodare il compianto Gilles; uno che si ostina a pronunciare Brawn così come si scrive: persino a Radio DeeJay venerdì mattina Linus si è dato del "pippa" per avere detto una sciocchezza del genere.
Insomma, una domenica mattina motoristica in cui ho pensato che un solo Montoya in monopattino sarebbe più emozionante di tanti Trulli che partono dai box ed arrivano a podio.
Damon Hill ha fatto vomitare un giornalista per quanto andava veloce su una auto da strada. Jenson Button, poverino, chissà quanti ha fatto addormentare difronte agli schermi.
Le Ferrari? Scontato pensare al grande Enzo; credo che stavolta sarebbe stato lui a suggerire a Marincovich quel titolo su Repubblica che molti anni fa tanto lo fece arrabbiare.
Ridateci la Formula 1
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Per fortuna c'è il calcio. O meglio: ciò che ancora ruota attorno al calcio. Mi riferisco ai calciatori stranieri, i brasiliani in particolare. Quelli che, nati poveri, nelle miserrime favelas di Rio, si ricordano di essere ancora dei ragazzi e, con tanti anni e parecchi centimetri davanti a sè, si godono in patria i danari guadagnatri in Italia; dove una società di benpensanti li vorrebbe vecchi a vent'anni, e monaci di clausura a letto dopo Carosello.
E leggendo l'articolo che descrive le spensierate feste cui partecipa Adriano in patria, ma ancor più guardando le foto di Patricia Araujo mi viene in mente quel titolo: Se questo è un uomo.
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Ma, come sempre accade, ed è il bello della vita, la realtà supera sempre la fantasia e ... la stessa cosa, lo stesso titolo mi è venuto in mente dopo avere letto dell'ennesima trovata di Huguito (avrà visto Non ci resta che piangere?).
Il Venezuela e l'Italia hanno almeno una cosa in comune: il populismo dei suoi attuali leader e la loro ineguagliabile capacità di inventarsi di tutto pur di cercare di distogliere l'attenzione della gente dai reali problemi della quotidianità.

1 commento:

Mancio ha detto...

ah.... se benigni avesse fermato colombo......
cmq effettivamente la/le tue analisi non fanno una piega, con una piccola aggiunta ... le macchine sono proprio brutte!