mercoledì 16 ottobre 2013

Caro Terry, avrei voluto dirti che ...

Eh! Caro Terry, non ti nascondo che l’altra sera, venerdì 11 ottobre, avrei voluto salutarti di persona e, con quel pizzico di narcisismo che tutti, più o meno, abbiamo, avrei voluto farlo pubblicamente. Nella cornice del bel teatro Nicolò Van Westerhout, per ringraziare il tuo carissimo amico Vitangelo che mi ha permesso di conoscerti; Vitangelo, col quale, una mattina di tanti anni fa, parlando del più e del meno in una stanza dell’Istituto Agronomico Mediterraneo a Bari, si arrivò a parlare di Mola, dei sui difetti, dei suoi pregi, delle sue tradizioni, del dialetto. E, dunque, di te. Da lì a pensare di attivarsi per il conferimento della cittadinanza onoraria a Terry Mildare, fu un tutt’uno. E con gli amici dell’Associazione dei Molesi nel Mondo iniziammo quel percorso che, con l’aiuto di tanti, ha portato oggi a riannodare quei fili che anni fa restarono, chissà mai perché, sciolti. Sarebbe stato emozionante per me quel palco; per ringraziare Vitangelo, per ringraziare l’amministrazione comunale tutta; e soprattutto per ringraziare te. Ma non tanto, o non solo, per essere lì a ricevere quel riconoscimento, quella pergamena, la cittadinanza onoraria. Il mio ringraziamento voleva essere un ringraziamento per tutto ciò che avevi fatto per la comunità molese, per i tuoi lunghi studi. Con Vitangelo ne parlammo tante volte; cos’è il dialetto per una comunità se non la sua propria essenza? E, dunque, come non poter essere riconoscenti verso una persona che la ha conosciuta, se ne è incuriosito, se ne è affezionato, l’ha fatta propria, la ha amata? Quell’essenza, quel dialetto curato e studiato al punto da trattarlo come una lingua? Il dialetto, importante per una comunità; ancor più per una comunità come quella molese che come poche altre ha conosciuto il fenomeno sociale, tante volte la piaga sociale della emigrazione. L’emigrazione che ha portato via a tutti qualcuno: a chi un figlio, a chi un marito, a chi un padre, un fratello, uno zio … gli amici … L’emigrazione, che quando costoro tornavano in Italia magari tornavano con uno spagnolo o un inglese improbabile, con l’italiano contaminato, ma con il dialetto sempre perfetto. Caro Terry, tu hai valorizzato quel dialetto, quella lingua che in tanti, i tanti Molesi nel Mondo hanno parlato a Buenos Aires, a Caracas, a New York e che consentiva, a chi l’ascoltava di girarsi e dire: “Sei anche tu molese: a chi appartieni?”, mentre la gente del posto pensava: “Chi sono questi, da dove vengono?”. In quei momenti, a Mola, come in tutte le comunità pugliesi ed italiane, quando si cercavano le prime notizie dei propri affetti oramai lontani, si sperava che tutto andasse per il verso giusto, e ci si rallegrava quando si veniva a sapere che le comunità locali, la gente del posto, riservava una buona accoglienza verso i propri cari, e ci si rattristava quando invece l’accoglienza era di diffidenza o emarginazione o rifiuto. Oggi dall’Italia, da Mola non si parte più. In Italia, a Mola si arriva a cercare “l’opportunità”. Oggi sono dunque i molesi che ascoltano un suono diverso, un dialetto diverso, una lingua diversa. La lingua dei Molesi del Mondo. Ma i dialetti, gli idiomi, le lingue si incrociano, nel Mondo; studiarli significa accorciare le distanze e, forse, allontanare le diffidenze. Anche per questo avrei voluto dirti, l’altra sera sul palco: grazie, Terry.

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